Brevi considerazioni su Padova e il Radar festival
Il Radar festival di Padova nel corso dell’ultima edizione appena conclusa, si è distinto per la grande competenza musicale, la particolare cura della line-up e l’enorme sforzo organizzativo..
Nei “lontani” anni ‘90 io ero un organizzatore di eventi musicali, anche se ho scelto una strada leggermente più “radicale” del Radar festival, e forse eccessivamente “ideologica” (eventi di nicchia per soli artisti fuori dallo showbiz..). Ma sono felice che dopo vent’anni molte persone oggi, come feci io allora, animate da grande entusiasmo, passione e competenza musicale mettano in piedi una serie di realtà organizzative in grado di costruire un’offerta musicale cittadina varia e ricca. Grazie al loro lavoro, quasi sempre non retribuito, l’offerta musicale di Padova ha vissuto un forte incremento negli ultimi anni, affiancandosi alle importanti iniziative in campo artistico (soprattutto cinema e teatro) già presenti nel tradizionale tessuto cittadino e realtà come il Radar Festival hanno contribuito a fare di Padova forse il più importante centro culturale del Veneto.
Basti pensare ai 5 appuntamenti mensili “invernali” di musica elettronica con ospiti internazionali (Crispy, Cipria, The Frag, Altavoz, Bugarach) e ai 6-7 Festival/rassegne con nomi e programmi raffinatissimi della scena musicale mondiale tra rock, elettronica, psichedelia e sperimentazione (Sherwood, Radar, Pulse, Scalo, Macello, Porto Vecchio..). In sostanza un’offerta musicale importante degna di un centro universitario europeo, quale dovrebbe essere Padova.
Una di queste, il Radar festival (sito ufficiale), si è distinto per la grande competenza musicale, la particolare cura della line-up e l’enorme sforzo organizzativo: una manifestazione snella (solo 5 giorni) ma densissima di nomi importanti della scena indipendente da tutto il mondo, scelti con criteri puramente qualitativi e non commerciali (spesso dunque anche rischiando in termini di ritorno di investimento economico) affiancati a band poco note o della scena locale da promuovere. Soluzioni studiate e di grande equilibrio che hanno fatto balzare la nostra città per 5 giorni dentro una dimensione internazionale: già siamo costretti ad espatriare per il lavoro, per una volta non serviva farlo per ascoltare suoni di grande qualità e musica innovativa dal vivo.
Mi tornano in mente le parole pronunciate dal palco da Slowdive e Tycho: “E’ la prima volta che suoniamo in Italia, ci piace molto e siamo felici di essere qui..”. Che bello, forse non si aspettavano un contesto così e una partecipazione importante, quantitativamente e qualitativamente. Mi sentivo a mio agio in questa città come avviene tutte le volte che assomiglia ad una città culturalmente evoluta come una di quelle in cui avrei scelto di nascere, ne ho percepito il respiro per una volta internazionale ed europeo. E pensavo agli studenti Erasmus e ai turisti che ho incontrato le sere del Radar (un gruppo di olandesi con cui ho giocato a calcetto al Mame) e mi sono detto: torneranno a casa con una bella immagine della città. Per quest’anno ancora, ci siamo salvati..
Era evidente quest’anno che l’attenzione degli organizzatori per le regole stabilite fosse persino superiore a quella degli anni precedenti, dal rispetto degli orari (musica fino a mezzanotte precisa) ai volumi contenuti, come se tutti prevedessero che il cambio di giunta avrebbe potuto comportare maggiori controlli. Ma ciò non ha appagato la loro sete di vendetta contro la “cultura di sinistra” e il soliti pretesti furbetti (“disturbo della quiete” e “il non rispetto delle norme di sicurezza”) utilizzabili in qualsiasi evento del mondo, dal festival di Glastonbury alla festa parrocchiale sotto casa, hanno reso evidente la volontà politica di boicottare un evento che altrove sarebbe addirittura finanziato dalla città pur di avere quell’offerta di musica di qualità a prezzi accessibili. Ecco quindi, puntuale, l’”aiuto” del Comune alla vita culturale cittadina: controlli esasperanti e richieste non esaudibili (come il fatto di cambiare orientamento del palco dopo che era stato già montato e già autorizzato in precedenza).
Qualcuno, con calma, dovrebbe spiegare loro che non è compito di un’amministrazione comunale appena insediata, cancellare gli spazi di espressione libera non funzionali, o semplicemente non interessanti (o non compresi), dalla parte politica che ha vinto. Il governo locale non rappresenta TUTTA la città ma solo una parte (in questo caso, oltrettutto, quella più anziana e meno scolarizzata). Lasciate che ognuno abbia i propri spazi aperti e liberi: chi non ama quel festival o concerto, non ci vada, ma lasci agli altri la libertà di andarci, semplice no? Cosa direbbero gli attuali amministratori e i loro elettori se al prossimo turno elettorale vi cancellassero le vostre feste di ballo liscio con i Rodigini e la Sagra del folpo fritto.. (ovviamente con un pretesto qualsiasi, come, ad es.: “l’olio per la fruttura dei Folpi non è a norma”, oppure “dalle finestre dei vicini si sente l’odore del folpo fritto fino all’una di notte”)?
Il lampo della vittoria elettorale, non essendo ipotizzabile un improvviso drastico cambio di punto di vista di massa di tutta la cittadinanza di Padova (tradizionalmente non leghista), potrebbe essere spazzato via altrettanto rapidamente alle prossime elezioni. Prudenza suggerirebbe dunque, meno arroganza e meno tempo dedicato alla redenzione dei giovani che si avvicinano pericolosamente al comunismo attraverso la musica e maggiori sforzi contro le bande di spacciatori e su fognature e strade.
Si prende atto che Padova oggi si presenta al mondo con un’amministrazione dalla visione ottusa, provinciale, ostile a progetti innovativi e di ampio respiro, scollegata dal resto del mondo. Il nostro sindaco e i suoi assessori, ostentano fieri il solito rigore del rispetto delle regole (che in Italia sono appositamente milioni proprio per poter usare quelle che fanno comodo politicamente al momento del bisogno), scambiando questo per sicurezza, quando invece è una sorta di de profundis culturale, una pre-morte della città; si presenta come un’amministrazione che ostenta con fierezza la propria illuminata visione della gestione del territorio, proponendosi l’obiettivo di fare di Padova una grande Cittadella (sic), cosicchè da possibile centro culturale europeo possa tornare borgo di campagna, con un’offerta di divertimenti ritagliata per un pubblico semianalfabeta, dove abbonderanno sagre, ombrelonghe e feste parrocchiali (benissimo che ci siano, sia chiaro, purchè non diventino il marchio della città..).
Per arginare questo declino forse basterebbe guardare un po’ di più ai paesi europei nostri vicini e copiare da loro, volgere il nostro sguardo laddove l’offerta di festival e manifestazioni tipo Radar sono eventi favoriti e apprezzati da tutti, e fare di questi paesi un modello generale, un riferimento da imitare sia per la scena musicale che per le altre offerte culturali, così come per i servizi, il welfare.. Non con la pretesa di diventare di colpo come loro, ma con la speranza quantomeno di evitare di eleggere amministratori Bitonti.
Mario Marino, Padova 30 luglio 2014
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