Intervista a Molven di Aldo Uden Di Nauta

Intervista di Aldo Uden Di Nauta di Soluxion Records sulla scena Netlabel e sul progetto Laverna.

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  1. ALDO: Come e quando nasce nella tua/vostra mente il progettoLaverna?

M: Il nostro progetto di netlabel nasce nel 2004, a mio modo di vedere, un anno cruciale per il fenomeno della distribuzione in Rete della musica che ha conosciuto un vero e proprio boom. Più fenomeni concomitanti hanno favorito questa proliferazione:
(1) la nascita negli Stati Uniti di una forma di tutela legale dei diritti d’autore più modulare e flessibile del tradizionale copyright: le licenze Creative Commons;
(2) l’aumento esponenziale degli accessi alla Rete in continua progressione dalla fine degli anni ’90 che ha reso possibile la gestione a distanza dei contatti tra i musicisti e i curatori della label;
(3) la consapevolezza da parte dei musicisti (in particolare quelli “elettronici”) della scarsa efficacia dei tradizionali canali di distribuzione e promozione dei propri prodotti audio e che i guadagni saranno nulli almeno a inizio “carriera”, ha condotto alla scelta di distribuire in Rete e gratuitamente il proprio suono, a quante più persone interessate possibile.
(4) la riduzione dei costi di produzione della musica e il conseguente aumento del numero di musicisti e produttori di suoni. Questo è avvenuto storicamente soprattutto nella fase di passaggio dall’elettronica analogica alle workstation digitali e la computer music.

Appena presi coscienza di quanto stava avvenendo, delle straordinarie potenzialità di un modo di diffondere i suoni e costruire con grande facilità e flessibilità un percorso di ascolti, aprii un sito web ed iniziai a metterci dentro file audio di mie produzioni come musicista e dj. Tuttavia dopo aver fatto questo mi resi conto che il valore dell’operazione era di pura documentazione storica, non trascurabile, ma ben al di sotto delle potenzialità che offriva lo strumento. Pensai allora che il vero valore aggiunto, il senso di tutto il progetto, potesse essere in realtà nella dimensione collaborativa, ovvero nella costruzione e condivisione di un progetto e di un percorso di ascolti realizzato assieme ai miei compagni di viaggio, agli amici con i quali avevo condiviso un pezzo di vita e di esperienze di ascolto (inizialmente Giovanni Dal Mas e Fabio Macor): era nata Laverna.net, una vera e propria etichetta musicale a tutti gli effetti.
In questa prima fase si trattava più di un contenitore di suoni provenienti da artisti elettronici della zona veneta, il territorio nel quale tanto ci eravamo impegnati a promuovere e diffondere il nuovo suono elettronico di inizio anni ’90 attraverso eventi, trasmissioni radio, articoli.. Nella seconda fase del progetto, si amplia l’orizzonte, il percorso sonoro si definisce nelle sue linee stilistiche di riferimento (grossomodo: ambient/drone/IDM con elementi di ricerca) e i contatti oltrepassano ogni confine territoriale (oggi pubblicano per noi musicisti da tutto il mondo). Questa svolta è in concreto stata resa possibile dalla dimensione collaborativa ormai divenuta realtà con l’apporto di Mirco Salvadori (direzione artistica), Lorenzo Isacco, Massimo Caner, Gigi Masin, Enrico Coniglio.
Le caratteristiche della Rete hanno facilitato enormemente questo progetto non solo nel rapporto fruitore/musicista in cui si innestava la grande novità delle netlabel (ovvero il fatto di scaricarsi comodamente e gratuitamente la musica), ma anche per il fatto di mettere in connessione l’insieme dei percorsi-processi di progettazione/costruzione delle release e degli eventi: la collaborazione con i musicisti dunque, ma anche il rapporto tra i diversi soggetti che curano le attività della netlabel che, come nel nostro caso, possono collaborare anche abitando in città diverse..

  1. ALDO: Nonostante da più parti si continui a parlare di crisi  per il settore discografico, il consumo di musica continua a crescere. Cresce soprattutto il settore indipendente. Molti pensano che il futuro della discografia sia in mano alle piccole etichette, quelle indipendenti, che sono in grado di instaurare un contatto molto più diretto col loro pubblico e creare nicchie di ascoltatori fidelizzati attorno ai  propri artisti. Tu come vedi il futuro delle multinazionali del disco, pensi che le majors siano condannate all’oblio o che si sposteranno verso altri mercati? Come vedi il loro rapporto con le indies nei prossimi anni?

M: Il consumo di musica crescerà sempre, come sempre cresceranno i consumi dei prodotti dell’ingegno e della creatività umana che sono, in quanto fenomeni di massa, diretta conseguenza dell’emancipazione dell’umanità nel suo complesso. Io ritengo che il consumo di musica e l’andamento del mercato siano due cose diverse: il primo continuerà a crescere mentre il secondo continuerà a calare. Il mercato, essendo fatto di prodotti confezionati, ha un qualche legame con il supporto su cui la musica è registrata (vinile, CD, mp3, ..), anche per motivi di collezionismo o rapporto feticistico. Potremmo prevedere che continuerà a calare l’acquisto non solo di supporti musicali, ma forse anche l’acquisto di file musicali, per una serie di fattori, tra cui il download illegale, quello legale (le netlabels), la crisi economica.. La perdita di guadagno dei musicisti sarà, almeno in parte, compensata da altre forme di finanziamento realizzabili in Rete (ad es. forme condivise di finanziamento di un progetto musicale) e dall’incremento delle esibizioni live che stanno tornando ad avere, come alle origini della musica, una propria centralità rispetto alla produzione discografica.

Del mercato resisterà in parte forse solo la vendita di vinile, in quanto anch’essa coincidente con una nicchia o community di appassionati collegati in Rete. L’acquirente tende ad accettare di pagare un disco ma non un file musicale anche se questa tendenza non ha una giustificazione reale: il supporto è forse la cosa che costa meno in termini di spesa di produzione, quindi in teoria dovremmo pagare sia un vinile che un mp3 (o al limite nessuno dei due). Ma se consideriamo che la stessa cosa avviene anche per il software informatico (e non solo quello Open Source): si è disposti a pagare qualcosa solo quando esso viene distribuito in forma di CD installabile, non quando scarichiamo il file eseguibile. Allora forse dobbiamo considerare il fatto che il mercato spesso si basa su elementi psicologici più che oggettivi o razionali: se sborsiamo denaro vogliamo avere una cosa fisica in mano.

Dunque chi ha determinato la crisi del mercato discografico, ovvero la Rete, essendo un processo irreversibile, ha al suo interno gli elementi per “salvare” almeno in parte un mercato in crisi. Ma essa non va d’accordo per motivi strutturali, costitutivi, con le grandi distribuzioni e i grandi monopoli, dunque concordo in pieno con chi pensa che il futuro della discografia sia nelle mani delle piccole etichette, in quanto più adatte alle caratteristiche della distribuzione dei contenuti nelle nuove forme del decentramento e della condivisione tipiche della Rete, ampiamente documentate e studiate dagli esperti del settore. Le piccole label potranno così intercettare quella nicchia di fruitori di cui parlavamo prima, naturale bacino di utenza per qualsiasi sito web, in qualsiasi ambito esso operi.
Anche le etichette tradizionali, dunque, dovranno adeguare la distribuzione alle nuove forme della Rete: l’acquisto via web, l’interazione diretta col pubblico, i social media, ecc.. Quello che la Rete ha colpito maggiormente nel mercato discografico (e non solo quello) come ben sappiamo, è ciò che si colloca nell’ultimo anello della catena di distribuzione: il negozio di dischi. E’ evidente a tutti il problema nel momento in cui il cliente si rivolge al negoziante, il quale per reperire un disco, consulta uno dei tanti canali online di vendita di materiale discografico accessibili, a costi base, da chiunque abbia una carta di credito.

Le majors, anch’esse molto colpite da queste trasformazioni per la loro distanza strutturale dal modello della Rete, saranno costrette (e lo stanno già facendo da anni ormai), a ripensare il proprio modello di business in rapporto alle nuove forme di fruizione/distribuzione della musica in Rete (vedi ad esempio l’accordo con YouTube).

  1. ALDO: Oggi si parla spesso delle netlabels anche perché il mercato della discografia tradizionale si sta avvicinando alla sfera del digitale. Le netlabels sono nate nella scena della musica elettronica, però si stanno diffondendo anche per gli altri  generi musicali. Pensi che sia più semplice per un artista oggi farsi conoscere attraverso la rete piuttosto che firmando un contratto con un’etichetta?
    Cosa ne pensi di tutti gli artisti che sono riusciti a farsi un nome unicamente con la pubblicità virale?

M: Se sei un appassionato di musica e musicista che muove i primi passi, non hai altro al di fuori della tua passione e delle tue capacità e il tuo obiettivo principale è far conoscere il tuo suono, certamente l’opzione Web/Netlabel è quella che personalmente consiglierei: aperta al mondo, senza confini geografici, libera e gratuita. La Rete è “democratica”, tutti partono dallo stesso punto di inizio e la cosa davvero interessante è che qualsiasi artista, anche il più sperimentale, può accedere alla propria nicchia di appassionati aprendo un canale in Rete, e/o affidandosi alla giusta Netlabel (e questo dovrebbe essere il compito delle etichette online..).
In alcuni casi firmare un contratto con una label potrebbe essere vantaggioso per una questione soprattutto di prestigio: ma se lo si fa per motivi economici è bene sapere che sarà comunque molto difficile riuscire a conquistarsi una fetta di un mercato musicale sempre più asfittico. Ricordo casi di amici musicisti che firmarono contratti per etichette indipendenti di musica techno, i quali non hanno mai ricevuto i soldi pattuiti. Evitare il miraggio del guadagno è salutare non per motivi moralistici (magari si riuscisse a guadagnare il giusto facendo musica, in rapporto al proprio talento e impegno), ma perchè è semplicemente molto improbabile, anche di fronte ad un talento conclamato, ricavare un reddito adeguato dalla musica, soprattutto in Italia e soprattutto oggi. Bisogna purtroppo tenerne conto.

  1. ALDO: Secondo te si potrebbe combattere il download illegale distribuendo la musica gratuitamente, cercando di trovare nuovi metodi di supporto economico agli artisti, soprattutto emergenti, visto che attraverso la vendita della loro musica non riescono a ricavare niente? Cosa ne pensi a riguardo?

M: Ci sono molti studi che dimostrano che l’equazione download illegale = mancati guadagni non corrisponde al vero. I principali utilizzatori delle reti peer to peer per il download di materiale protetto da copyright sono o grandi acquirenti (il sottoscritto appartiene a questa categoria: scarico file musicali ma anche compro dischi), oppure sono persone che non comprerebbero comunque perché non ne hanno la possibilità. Io ritengo che per un precario o disoccupato, sia dal punto di vista etico/politico del tutto inaccettabile che possa essere punito per aver scaricato un album o un film per uso personale. A meno che non si vogliano escludere intere fasce di popolazione dalla possibilità stessa di essere informato, aggiornato, partecipare alla crescita culturale comune e migliorare la propria condizione, cosa che sarebbe contraria persino alla Costituzione della nostra Repubblica (legge superiore a tutte le altre, e anche a quella contro la pirateria, ovviamente).

Come dicevo nella prima risposta il consumo di prodotti dell’ingegno umano aumenterà sempre, illegale o legale che sia. E’ un comportamento di massa che non è nemmeno certo procuri il danno economico che si suppone. Dovranno necessariamente cambiare la legge sulla pirateria come hanno cambiato di recente in Italia le norme riguardanti la SIAE. Dopodichè si apriranno mille possibilità di (piccoli) guadagni che ancora una volta passano attraverso la Rete: vedi ad esempio www.sellaband.com che cerca di sviluppare l’interessante esperimento del Crowdfunding (processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizzano il proprio denaro per supportare e finanziare gli sforzi di musicisti emergenti). Ancora poco in effetti, soprattutto per settori musicali marginali, ma le potenzialità di crescita ci sono.
Tuttavia la strada maestra secondo me è il welfare, o meglio le forme di reddito sociale o di sostegno pubblico erogate a determinate condizioni, che consentano agli artisti di lavorare a livello professionale senza la spada di Damocle del successo commerciale. Nel Nord Europa già ci sono da molto tempo e infatti, guardacaso, quasi tutta la migliore musica indipendente viene da lì.

  1. ALDO: Ti prospetto un futuro in cui ci siano soltanto mercati di nicchia e in cui l’unico successo sia ottenuto soltanto da piccole etichette indipendenti, piccolissime, che riescono a farsi conoscere in tutte le parti del mondo al di là dei canali mainstream come la televisione e i media di massa. Tu cosa pensi di questo futuro?

M: Beh, non male questa prospettiva, peraltro molto realistica visti gli andamenti tendenziali degli ultimi anni. Alla fine non esiste un modello o sistema perfetto, dobbiamo sempre analizzare i pro e i contro dei due modelli di distribuzione/promozione, che semplificando potremmo dividere in vecchi media (TV, Radio, Giornali..) e nuovi media (quelli legati alla Rete: social media, blog, netlabels..).
Per le proprie caratteristiche intrinseche di contenitori generalisti, i vecchi media si sono dimostrati adeguati solo per diffondere prodotti mainstream, non certo per la promozione del suono indipendente(considero mainstream quei prodotti artistici realizzati tenendo in considerazione esclusivamente criteri estetici legati alle richieste del mercato). Oggi con le innovazioni tecniche come il digitale e il satellite, le cose sono in parte cambiate con la moltiplicazione delle emittenti e i canali tematici, ma la televisione come i grandi mass media restano inadeguati per promuovere forme d’arte legate a piccole comunità di appassionati, quali la musica di ricerca, l’arte d’avanguardia, le produzioni realizzate senza finalità dirette di lucro. Ciò è dovuto a varie cause, tra le quali a mio modo di vedere le principali sono:
– i grandi costi di gestione e mantenimento delle strutture dei vecchi media, rispetto ai quali l’editore deve necessariamente rientrare. Questi costi sono pressocchè cancellati nei nuoi media.
– nei grandi media l’utente ha un ruolo passivo, dunque tende a subire l’estetica  mainstream, mentre nei nuovi media il ruolo dell’utente è attivo, il confine tra produttore e consumatore diviene labile e si aprono interessantissimi scenari anche in ambito musicale. Ad esempio è sempre più diffuso il fenomeno del fruitore di musica che è anche musicista e si fa anche la promozione sui propri canali web.

Per questi motivi, assistiamo oggi alla frattura generazionale nell’approccio ai diversi media: le giovani generazioni si sono spostate in modo decisivo verso la Rete, mentre la Televisione, quasi fosse oggi un sistema di comunicazione residuale, rimane il media più usato dalle vecchie generazioni.
Ovviamente ci sono anche i contro della Rete: la frammentarietà, la moltiplicazione indefinita dei canali, la presenza di contenuti pubblicati senza nessun filtro sulla qualità, ma possiamo in ogni caso considerarli una sorta di prezzo da pagare per avere la libertà e l’autonomia di auto-gestire e auto-promuovere le nostre produzioni musicali senza dover sottostare alle regole di un mercato che considera l’arte alla stregua di qualsiasi altra merce.

 Intervista di Aldo Uden di Nauta a Mario Marino, Gennaio 2013

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